Appare difficile in questi anni affacciarsi alla finestra senza provare sensazioni negative. Lo sguardo si posa su una serie interminabile di scempi ambientali che ci circondano. Si inizia con le cave attive o dismesse che danno un impatto paesaggistico terribile per almeno 180 gradi di visione , con il loro colore chiaro quasi accecante o al contrario con una tinta grigiastra che somiglia al piombo a simboleggiare lo stato di abbandono.
Lo sguardo allora ruota in cerca di stimoli diversi e si va inevitabilmente a posare sui rudi contrafforti del Gennaro. In lontananza appare su un primo picco una torre li posta quasi a simboleggiare il dominio dell’uomo poco saggio su una natura indifesa . Poco avanti appaiono i piloni di una vecchia seggiovia inghiottita dal tempo e dalla vendetta della vegetazione. In alto , su una seconda cima si stagliano alcuni tralicci dall’ aspetto degli aghi di un agopuntore, simboleggianti lo squallore del progresso , simili per la loro altezza alla “colonna di latta imbullonata “come venne definita alla fine dell’ ‘800 la Tour Eiffel su un manifesto a firma di autori del calibro di Alessando Dumas figlio, Guy de Maupassant, Charles Gounod ed altri.
A parziale corredo di questo spettacolo disarmonico appare poi il “brutto di natura”, una macchia larghissima di massi e dirupi senza vegetazione frutto in epoca recentissima di incendi boschivi, provocati sicuramente dalle mani criminose di qualcuno.
Ecco questa è la bruttezza che ci circonda e che condanna la nostra generazione per gli interventi improvvidi di cui si è resa protagonista nell’ arco di 20 -30 anni, distruggendo un patrimonio paesaggistico di inestimabile valore.
Si può provare a chiudere gli occhi e ad immaginare come fosse il paesaggio ancora 40-50 anni fa.
Lo sguardo allora ruota in cerca di stimoli diversi e si va inevitabilmente a posare sui rudi contrafforti del Gennaro. In lontananza appare su un primo picco una torre li posta quasi a simboleggiare il dominio dell’uomo poco saggio su una natura indifesa . Poco avanti appaiono i piloni di una vecchia seggiovia inghiottita dal tempo e dalla vendetta della vegetazione. In alto , su una seconda cima si stagliano alcuni tralicci dall’ aspetto degli aghi di un agopuntore, simboleggianti lo squallore del progresso , simili per la loro altezza alla “colonna di latta imbullonata “come venne definita alla fine dell’ ‘800 la Tour Eiffel su un manifesto a firma di autori del calibro di Alessando Dumas figlio, Guy de Maupassant, Charles Gounod ed altri.
A parziale corredo di questo spettacolo disarmonico appare poi il “brutto di natura”, una macchia larghissima di massi e dirupi senza vegetazione frutto in epoca recentissima di incendi boschivi, provocati sicuramente dalle mani criminose di qualcuno.
Ecco questa è la bruttezza che ci circonda e che condanna la nostra generazione per gli interventi improvvidi di cui si è resa protagonista nell’ arco di 20 -30 anni, distruggendo un patrimonio paesaggistico di inestimabile valore.
Si può provare a chiudere gli occhi e ad immaginare come fosse il paesaggio ancora 40-50 anni fa.
Oppure si può ricorrere alle opere di alcuni autori , come i pittori danesi , che nell’800 nel dipingere le vestigia più tipiche di Roma, come i fori imperiali, il colosseo o le più moderne ville patrizie usavano poi il profilo inconfondibile del monte Gennaro come naturale decoro.
La visione di questi quadri, in particolare di Costantin Hansen, commuove e da’ la giusta misura di quanto abbiamo irrimediabilmente perduto. Più avanti e in alto la zona di montagna ancora vergine sembra interrogarci e chiederci una tregua per i meravigliosi boschi ricchi di faggi e più in basso di carpini, cercis, aceri, lecci, querce, a sovrastare gli eterni guardiani della montagna rappresentati dagli olivi colà posti dalle mani di quei saggi agricoltori che furono i nostri nonni all’ inizio del ‘ 900.
Qui in primavera il tenue colore rosa diffuso dei cercis (“melle nere”) si mescola al bianco dei ciliegi e dei peri isolati .I profumi della natura ti stordiscono . La poiana riprende il proprio volo doce ,planato, senza un battito d’ ali, a volte inseguita da stormi di corvi gelosi del territorio che la costringono alla fuga .
I fumi dei fuochi dei contadini si alzano dalle colline spinti dalle correnti sempre verso la montagna, accompaganti dal nostro sguardo. E tutto questo fino a quando non verrà definitivamente celebrato il trionfo della bruttezza, che simile al falco, dopo un breve volteggiare, immobile nonostante un continuo movimento d’ali, si getta d’ improvviso sulla preda per ghermirla.
Sarà questo il destino della montagna di Giano e dei monti della Lince?
Alfredo Ricci
La visione di questi quadri, in particolare di Costantin Hansen, commuove e da’ la giusta misura di quanto abbiamo irrimediabilmente perduto. Più avanti e in alto la zona di montagna ancora vergine sembra interrogarci e chiederci una tregua per i meravigliosi boschi ricchi di faggi e più in basso di carpini, cercis, aceri, lecci, querce, a sovrastare gli eterni guardiani della montagna rappresentati dagli olivi colà posti dalle mani di quei saggi agricoltori che furono i nostri nonni all’ inizio del ‘ 900.
Qui in primavera il tenue colore rosa diffuso dei cercis (“melle nere”) si mescola al bianco dei ciliegi e dei peri isolati .I profumi della natura ti stordiscono . La poiana riprende il proprio volo doce ,planato, senza un battito d’ ali, a volte inseguita da stormi di corvi gelosi del territorio che la costringono alla fuga .
I fumi dei fuochi dei contadini si alzano dalle colline spinti dalle correnti sempre verso la montagna, accompaganti dal nostro sguardo. E tutto questo fino a quando non verrà definitivamente celebrato il trionfo della bruttezza, che simile al falco, dopo un breve volteggiare, immobile nonostante un continuo movimento d’ali, si getta d’ improvviso sulla preda per ghermirla.
Sarà questo il destino della montagna di Giano e dei monti della Lince?
Alfredo Ricci
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